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Riflessioni sull'attentato di Parigi

Avendo constatato, con un po’ di dispiacere, l’assenza d’interventi riflessivi su fatti recenti che hanno bombardato l’intero pianeta e sui quali non si sono risparmiati, di contro, giudizi e pregiudizi nella sicurezza dell’interloquire privato, non sono riuscita ad eludere il pensiero dello scarso interesse da parte di noi isolani su argomenti ed eventi che, uno ad uno e gradualmente, hanno alimentato le pagine nere del Grande Libro della Storia.

Saranno stati i nostri problemi d’urgenza quotidiana, può darsi la scarsa conoscenza nei confronti degli eventi storici del passato, o ancora la frettolosità d’opinione, che ci hanno portato a generalizzare le cause e le conseguenze d’una notizia scioccante al mondo occidentale: però tutti hanno comunque condiviso la fierezza francese delle matite circolanti di “Je suis Charlie”, affiancate dal sanguinoso epilogo dell’uccisione dei vignettisti e di altre persone coinvolte nella “Battaglia di Parigi”.

Certamente pochi hanno voluto mettere in luce le verità storiche e le contraddizioni culturali e religiose di due mondi dai paradigmi contrapposti, soffermando la propria comoda attenzione su uomini che, se si fossero formati all’interno di contesti sani e di saldi principi, non avrebbero indugiato nel dire ‘No alla Morte’. Uomini abbandonati ad una vita senza senso, quei terroristi ‘di matrice araba’. negli occhi dei quali un indicibile smarrimento: il disorientamento di un ‘residuo’ di Paese che non ha nulla a che spartire con la stragrande maggioranza di chi soffre quanto e più di altri; niente da offrire, se non l’inutile riscatto secolare d’una ‘schiavitù’ ideologica europea.

E noi, quasi sempre orgogliosamente vicini alla geografia fisica e alle radici culturali del mondo arabo quando si tratta di ripercorrere le origini della nostra odierna cultura, ora improvvisamente distanti, quasi offesi per lo sgarbo ottenuto in risposta alla solidarietà e all’accoglienza che siamo convinti di operare. Accusiamo nella generalità per salvaguardare le ultime barcollanti certezze d’un mondo allo sfacelo, facendo di ‘tutta l’erba un fascio’ e riconoscendo negli addestrati di ‘Al Qaida’ le mostruose sagome da sconfiggere, senza mai scorgere, per comoda visione, i profondi buchi neri della civiltà alla quale apparteniamo e alla quale vogliamo sempre attribuire la parte eroica della salvezza, senza comprendere che la compattezza esteriore ed il senso patriottico che mostriamo nei confronti del ‘nemico’, domani ci si potrebbero riversare contro e che ciascuno di noi, prima o poi, dovrà davvero fare i conti con le proprie origini.

Se avessimo il coraggio, se avviassimo ogni tanto quel motore dei cuore spesso riposto nel refrigerio delle nostre coscienze addormentate, ci renderemmo immediatamente conto che tante volte carichiamo di significati strumentalizzati molti episodi della Vita e della Storia: le Crociate, per esempio, come interpretate da Cristiani e Musulmani? Noi gli “Infedeli”, loro “Difensori del Profeta”; anche noi, sempre pronti ad offendere Dio ogni qual volta invocato nelle sanguinose imprese di guerre sante, convinti di un assedio ingiusto per volontà divina.

Cosa sarebbe accaduto, quali equilibri planetari ne sarebbero derivati, quali sorti avrebbe avuto gran parte del mondo che riteniamo ‘nostro’, intoccabile e accessibile solamente attraverso i codici comunicativi che abbiamo stabilito per sbandierare le nostre esclusive libertà, se la casualità storica – e non il volere di Dio , perché Dio non vuole la guerra! - non avesse destinato a Solimano il Magnifico e a tutti i musulmani la clamorosa sconfitta a Vienna, nel 1529, con l’Impero Ottomano fino a quel momento al suo apogeo?

Abbiamo visto passeggiare tanti mostri, fra le strade ‘familiari’ dei nostri comodi confini, e molti perseverano nel reputarli ‘sacri’. Consiglierei di rispolverare qualche vecchio libro di storia, per sfogliarne le pagine di barbarie e onnipotenza collettive. Hitler e Mussolini sostenuti con cecità delirante, e tutt’oggi riesumati come panacea ai mali che affliggono il mondo. Sempre indulgenti sulle malefatte dei nostri figli, pronti ad addossare colpe e giudizi indelebili ai figli altrui, stavolta a quelli d’una civiltà di un ‘Dio minore’ che, dopo averci fatto tremare, soffrire e gioire per la supremazia territoriale, politica e ‘religiosa’, vogliamo adesso ‘rimandare a casa’. Abbiamo scavato fra le loro ricchezze immiserendone il tesoro.

E oggi pretendiamo di spolverarli magicamente, addirittura di ‘embargarli’ nel loro povero territorio depredato. Risarciamoli, prima, di quanto ad essi sottratto, di sicuro non busseranno più alle nostre porte: siamo stati noi, per primi, ad aver abbattuto le loro illudendoli di una ‘integrazione’ sana, collaborativa e soprattutto alla pari.

Eppure no. Invasati dall’estro divino, fanatici d’una libertà che non sappiamo ancora come utilizzare al meglio, ci facciamo cullare dal consenso dell’ideologia sovrastante, convincendoci che tutto ci debba appartenere, facendo della nostra superiorità ‘civile’ il legittimo sopruso della ragione a tutti i costi. E fasullamente ci inchiniamo davanti ai dolore, dichiarando che “Tout est Pardonnè”, mentre nascostamente ci impegniamo a vendicare Parigi, il Cuore dell’Europa: l’aristocratica città protagonista d’una canzone anacronistica, i cui contenuti estranei, ma tanto vicini al dramma odierno del recente attentato: “E’ Tempo di riaccendere le Stelle Consigliere sopra le Lamiere della Tour Eiffel”. Ed è ancora tempo di considerarci Figli dello stesso Dio: il Signore della Vita.

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